Eleonora Barmasc

Io sono l'Universo e l'Universo è in me

La presentazione della curatrice degli incontri coi lettori

Vorrei iniziare questa serata, se Milena lo consentirà, attribuendo un titolo alla presentazione del libro “Micio De Felis e il giardino oltre lo steccato” autrice Eleonora Barmasc (Milena Audenino).

Il titolo è questo “Bambini e adulti nel mondo delle fiabe e delle avventure di fantasia” e vi spiego il motivo di tale scelta.

Questo titolo farà da ponte tra Micio ed un altro libro conosciuto da molti, “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry che non sarà certo il protagonista della serata, ma farà da controcanto o da accompagnamento alle avventure di Micio.

Ho utilizzato due espressioni linguistiche, fiabe e avventure di fantasia, per chiarezza espositiva in quanto la fiaba presenta caratteristiche strutturali ben precise, codificate, quasi vincolanti che la distinguono dalle avventure di fantasia, ma l’elemento comune è appunto la fantasia.

Il dizionario così definisce la fantasia: “Facoltà della mente umana di creare delle immagini complesse, parzialmente o totalmente irreali”. Penso che questa definizione non esaurisca il potenziale creativo della fantasia: con la fantasia posso trovare soluzioni alternative alle difficoltà quotidiane, posso interpretare e leggere la vita, in modo nuovo e più completo, posso affermare l’autonomia del mio pensiero rispetto a schemi rigidi, superati e conformisti di valutazione della realtà: è il pensiero divergente che sa svincolarsi dalla semplificazione degli stereotipi e dei pregiudizi, dai luoghi comuni, dalle pressioni e dai condizionamenti sociali.

Stereotipo: opinione precostituita su una classe di individui, di gruppi o di oggetti che riproducono forme schematiche di percezione e di giudizio.

Pregiudizio: anticipazione acritica di un giudizio che poggia su convinzioni maturate nell’appartenenza a un gruppo etnico o sociale. Il pregiudizio verso il gruppo esterno è un elemento di coesione per il gruppo di appartenenza.

Temi quanto mai attuali, ma non da trattare in questa sede. Torniamo alle fiabe ed alle avventure di fantasia.

Che cosa sarà dunque una fiaba per un adulto? Poi ci occuperemo dei bambini.

E’ un riandare nel mondo dell’infanzia per riprovare emozioni semplici, genuine, limpide, un rivivere sensazioni antiche attraverso il linguaggio simbolico della narrazione fantastica che ci traghetta oltre, nella sfera dei sentimenti, dei valori, del pensiero; la fiaba infatti non è la negazione del pensiero anzi è un potenziamento creativo della capacità di pensare. E’ attraverso la lente emozionale della fiaba che ci viene offerta la possibilità di vivere il nostro rapporto con il prossimo, con la natura, con noi stessi in una prospettiva aperta a nuovi significati che non siano quelli sterili della convenzionalità, dell’omologazione e dell’appiattimento emotivo (se tutti fanno così, dunque …)

La fiaba è uno strumento per avvicinarsi a realtà umane profonde, importanti quali i valori, la sfera relazionale, affettiva, il nostro mondo interno, i rapporti interpersonali che non sempre si lasciano indagare dalla fredda razionalità dell’intelletto.

Non si nega la funzione della ragione, ma è necessario ampliarne il dominio includendone l’aspetto emozionale.

Gianfranco Ravasi cita la poetessa moscovita Marina Cvetaeva che ci ricorda come il pensiero sia una freccia  che corre diritta al bersaglio, è simile ad una spada di cristallo che amputa le cose secondarie e va alla sostanza. Il sentimento invece è rotondo, ama il percorso ampio, si ramifica, si allarga, si riscalda lungo traiettorie che ci portano in regioni floride. “Ebbene noi – sostiene Ravasi – per dire bene la verità e l’amore che è in noi abbiamo bisogno di queste due realtà, sia del pensiero sia del sentimento.”

La fiaba permette di armonizzare la sfera relazionale e la sfera emotiva, è l’unione dinamica di queste due straordinarie espressioni umane che emergono e risuonano con andamenti, tonalità e ritmi diversi regolati da un obiettivo condiviso: esercitare la riflessione e perseguire la conoscenza che non è solo sapere, è soprattutto entrare nel fatto, partecipare, capire, valutare gli eventi che configurano la nostra esistenza.

Per cogliere però appieno la valenza interpretativa della fiaba, per lasciarci coinvolgere dalla narrazione fiabesca senza idee preconcette, tipo “La fiaba è solo per bambini”, è necessario allenare la mente ed il cuore con lo scopo di entrare, di adottare una dimensione nuova nel confronto con l’esistere, è importante comprendere inoltre come vi siano livelli diversi di lettura del racconto fantastico, ad ogni livello corrisponde una scoperta, una conoscenza, una rivelazione: lampi di meraviglia e di stupore che illuminano una realtà percepita, vissuta troppo spesso come avvolta dalla noia, dalla passività, dal grigiore. “Chi vuole comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso” (Gadamer).

Bene, ad un certo punto, all’inizio di questa chiacchierata ho detto che la fiaba usa un linguaggio simbolico ed è proprio qui che risiede il punto di convergenza e di divergenza fra la lettura di un adulto e la lettura di un bambino del testo fiabesco.

Simbolo: dal greco simbolo da avvicinare a symballo composto da sym (insieme) + bàllo (io metto). Significa “mettere insieme”.

Nell’antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi oggetto e darne una metà all’amico o all’ospite. Queste metà conservate da una parte e dall’altra, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti dei due amici di riconoscersi.

Il simbolo dunque rimanda sempre a qualcos’altro, è un’eccedenza di significato, è più di che cosa si vede o si sente o si percepisce. Evoca una determinata realtà. Il simbolo dunque rimanda ad altro, ad esempio il male, il bene s’incarnano in certi personaggi e nelle loro azioni, compare nella fiaba tutta la tipologia umana. Tutti gli eventi negativi o positivi che punteggiano la vita, sono presenti: l’amicizia, la solidarietà, le paure, il desiderio di conoscere, di esplorare, i valori; la fiaba è il mondo detto con il linguaggio del simbolo, è il repertorio universale del vivere.

“Le fiabe sono vere” – ha scritto Italo Calvino – perché sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita.

Le fiabe nascono circa ventimila anni fa e sono la testimonianza di quanto il racconto fosse una delle basi del rapporto di gruppo, sono nate per un mondo adulto le fiabe di tradizione orale, solo nel 1550 compare la forma scritta del genere fiaba.

Ho utilizzato in apertura anche i termini avventure di fantasia, perché?

La fiaba è caratterizzata da funzioni che ne regolano l’andamento narrativo, sono le funzioni di Propp dal nome di chi le ha sistematizzate. A grandi linee, in realtà ce ne sono di più, troviamo:

la situazione iniziale

il protagonista entra in azione

azione dell’antagonista

azione dell’eroe

mezzo magico

vittoria finale.

“Micio De Felis” non è imbrigliato in queste categorie e neppure “Il piccolo principe”, per questo motivo, con Milena, abbiamo deciso di chiamarle avventure di fantasia.

A questo punto cominciamo a conoscere il libro “Micio De Felis e il giardino oltre lo steccato”: comprende 58 racconti, corti, rapidi, intensi. Ogni avventura offre spunti di riflessione e possibilità di approfondimento, apre nuove strade di conoscenza e nuove prospettive di valutazione del reale.

Ecco una prima differenza fra la lettura dell’adulto e quella del bambino: nel periodo della scuola dell’infanzia e primaria il bambino è affascinato dalle parole, si lascia trasportare dalla narrazione, egli ascolta in silenzio e con grande attenzione, addirittura desidera che la fiaba gli venga raccontata o letta una seconda e una terza volta per riviverla e capirla meglio.

E’ legato all’aspetto letterale del racconto, infatti più volte chiede : “E dopo?”, però anche a questa età è già in grado di avvicinarsi al simbolo, in maniera più immediata, più concreta, più intuitiva rispetto all’adulto.

L’accesso al simbolo per l’adulto è più profondo, il simbolo si distanzia dal reale e conduce lungo le traiettorie misteriose e sconosciute del pensiero.

Mi spiegherò meglio nel corso della presentazione, il protagonista è dunque un micio curioso che ama l’avventura, la scoperta, la voglia di conoscere, di esplorare, di avere degli amici, ama la natura, la libertà, ama le coccole, ma anche lui qualche volta ha paura: “Micio corre, arriva in cima e lì si ferma di botto. La sagoma minacciosa di un coccodrillo lo blocca. Micio arretra un poco, ritira la testa tra le spalle …” (pag. 17) Non vado oltre perché quello della paura sarà un argomento di riflessione interessante e significativo per il mondo adulto e per il mondo infantile, con connotazioni diverse naturalmente.

Micio si trova subito davanti un ostacolo, lo steccato, che lo blocca, gli impedisce di continuare l’esplorazione, di vedere oltre.

Lo steccato è il primo simbolo, e compare nel titolo, che incontriamo anche noi adulti nella lettura del libro; per il bambino è un qualche cosa di imprevisto, di misterioso, è una difficoltà che in quel momento non sa gestire. Per l’adulto il termine richiede una riflessione più articolata e profonda anche perché, dal punto di vista semantico, è un termine ambivalente: lo steccato chiude, protegge, rassicura, conferisce il senso dell’appartenenza, ma, ed ecco la polarità della parola, delimita tra il dentro e il fuori, filo spinato o siepe profumata che impedisce l’incontro con gli altri, è una linea di demarcazione tra il dentro ed il fuori le mura, è l’ostacolo, è la cesura fra il noi e gli altri, è un confine rigido impermeabile al dialogo, alla solidarietà, all’accoglienza.

Esiste dunque una varietà di recinti: ci sono recinti spinati che raccontano la paura del fuori, del diverso, della differenza, ci sono recinti di siepi odorose con deliziosi giardini d’ingresso che invitano ad entrare, ma la bellezza seduttiva del fuori sarà complementare all’amore autentico del dentro?

Considerate dunque come nella fiaba e nelle avventure di fantasia siano presenti gli elementi essenziali delle due componenti di base della nostra attività cognitiva: la fantasia e la razionalità, a conferma di quanto è già stato in precedenza. Sono le due gambe grazie alle quali cammina la nostra vita mentale: nostra, non solo quella del bambino.

Ricordo che l’immaginazione, la fantasia, la creatività non rappresentano l’infanzia della coscienza, la vacanza della ragione anzi sono strumenti vitali per contrastare la pigrizia del pensiero lineare, debole, superficiale. Non basta, l’arte di che cosa si nutre? E le scoperte scientifiche non sono forse nate da un guizzo, un bagliore improvviso, una luce sfolgorante del pensiero creativo?

Giardino, è l’altra parola del titolo; steccato-giardino due straordinarie traiettorie simboliche che confermano come il linguaggio e la decodifica letterale di un termine non siano sufficienti per interpretare in profondità il reale; ripeto la ragione senza l’immaginazione si fa sterile ed improduttiva, l’immaginazione senza la ragione rischia di abbandonare, di allontanarsi dagli stimoli che provengono dalla realtà e che l’alimentano, la valorizzano con  la luce sfolgorante, variegata e multiforme dello stupore, della meraviglia e della scoperta. Ritornerò sul concetto di meraviglia, altro termine che accomuna infanzia e adultità.

Ricordiamo inoltre che “le parole viaggiano da un libro all’altro (in questo caso da “Micio De Felis e il giardino oltre lo steccato” a “Il piccolo principe”) e nel viaggio accumulano sempre nuovi significati”.

Non esiste un libro per l’infanzia solo per l’infanzia, sarebbe tale ad una lettura superficiale.

Torniamo al nostro giardino che però deve essere completato con un breve cenno alla casa. “Il simbolismo della casa compare di frequente nei miti, nei racconti, nelle fiabe unificando popoli geograficamente lontani, culture diverse, tradizioni differenziate; si afferma così l’universalità del simbolo ed anche una conflittualità perenne fra il desiderio di partire e di ritornare … La casa è l’involucro protettivo, ma anche la gabbia, la prigione, il guscio soffocante a volte distruttivo” (“La casa tra immagine e simbolo” autrici Daniela Vigna e Silvana Alessandria).

Il tema della casa è presente, con connotazioni diverse, nelle produzioni letterarie, ad esempio ne “I Malavoglia” la casa rappresenta uno stato sociale, conferisce dignità alle persone che la abitano. Senza la casa si perde la propria identità ed il proprio valore.

<<Nel romanzo “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello si attualizza l’incessante passaggio da una forma all’altra sia questa la casa, un nome, un abito, un ruolo. Alcune suggestive espressioni lo confermano: “Da casa mia rifuggivo come da una prigione”.

E dopo: “Ma una casa, una casa mia, tutta mia, avrei potuto averla?… Ma una casettina modesta, di poche stanze?” E’ una visione predominata dalla casa costretta fra l’esaltante fuga da abitudini cristallizzate, limitanti, sempre uguali ed il desiderio di ripiegamento e di incapsulamento in una condizione di dipendenza fisiologica e psichica.>> (La casa tra immagine e simbolo, pag. 157)

E’ l’ambivalenza del simbolo di cui si è parlato prima, in apertura della serata.

Torniamo al giardino, può essere un lembo di terra recintata, limitata sul piano orizzontale, può anche essere un lembo di natura incontaminata oppure trasformato e coltivato dall’uomo.

Anche il giardino suggerisce sentimenti, emozioni contrastanti: spazio protetto, sicuro che si può abbracciare con lo sguardo, oppure spazio chiuso, soffocante, ostile. Questa seconda accezione mi conduce all’avventura in un ambiente aperto, libero da vincoli per vivere una esperienza insolita, fuori dalle consuetudini e dalle convenzioni prestabilite, fuori dall’ovvio e dallo scontato: uscire dal recinto, infrangere lo steccato.

Lo steccato potrebbe anche essere la sfida per dimostrare a noi stessi che, pur fragili e vulnerabili, sappiamo controllare le false credenze, vincere i pregiudizi ed affrontare le paure immotivate, costruzioni mentali prive di agganci obiettivi con il reale. Vogliamo muoverci, capire, rischiare. E’ proprio questo che faranno Micio ed il Piccolo principe, un bambino che proviene dall’asteroide B612; sono uniti dalla voglia di esplorare, conoscere punti di vista diversi, andare oltre le apparenze.

Breve digressione, fra questi due libri molte sono le analogie ma altrettanto importanti sono le differenze e ben vengano queste perché è la differenza che fa maturare, che favorisce il potenziamento delle nostre capacità mentali; nostre, intendo bambini ed adulti.

Micio supera dunque lo steccato, ecco la sfida, e si inoltra nel giardino dove incontra il fiore parlante, Milla la gattina dolce, la farfalla di fuoco, i ranocchi, il coccodrillo sul tetto che poi non era un coccodrillo, conosce strane creature in un mondo fantastico, magico ed affascinante.

Vi presenterò ora alcuni scenari che ci permetteranno di cogliere le somiglianze e le differenze fra questi due libri che potrebbero essere letti in parallelo, zigzagando dall’uno all’altro.

Necessità di cambiare prospettiva nel valutare cose, persone, fatti.

In Micio De Felis troviamo un racconto “La torre dell’aquila” (pag. 14), lui si arrampica sull’albero più alto e vede le cose dall’alto, le vede meglio, in modo più completo e, soprattutto, si fida dell’aquila.

Nel libro “Il Piccolo Principe” lo scrittore, solo, abbandonato nel deserto del Sahara per un incidente aereo, incontra una strana personcina che gli chiede: “Disegnami una pecora” (pag. 12). Saint-Exupéry prova più volte, ma questa pecora non è mai quella giusta, scoraggiato disegna una cassetta.

La strana creatura si illumina e dice: “E’ proprio quello che volevo, la pecora è dentro”.

Gli adulti spesso non vogliono cambiare visione e non sanno vedere le pecore attraverso le casse; vedono solo ciò che è evidente, in apparenza evidente, facile da capire, non vanno oltre per paura, per pigrizia, per mancanza di fantasia.

Ancora, a proposito di fantasia, lo scrittore nelle prime pagine di questa avventura dice: “Bisogna sempre spiegargliele le cose ai grandi” (pag.8); quando aveva sei anni infatti disegnò un boa che aveva inghiottito un animale e quando mostrava il disegno ai grandi loro rispondevano che era un cappello, invece no, era un boa che aveva inghiottito un elefante.

Per farsi capire decise di disegnare l’elefante all’interno del boa e così gli adulti capirono. E’ questa la modalità dominante del conoscere? Dato concreto, visibile, netto, ben catalogato? A voi la risposta

Nel racconto “Una strana creatura” Micio gioca con una strana creatura, saltella, si rotola nell’erba. Comare papera gli chiede “Micio, che fai?”, “Gioco con lo spirito dei fiori e degli alberi! Volete venire con noi?” risponde Micio, “Noi? Noi siamo persone serie!”. L’anatra e la comare papera se ne vanno e Micio si tuffa in un cespuglio e continua il gioco (pag. 27).

Anche noi  a volte vogliamo essere persone serie e non ci lasciamo catturare dai sogni e dall’immaginazione.

Altro scenario: creare legami – l’amicizia.

Vi sono alcuni snodi importanti nella vita degli esseri umani, uno di questi è il legame d’amicizia, “un legame che racchiude una fitta trama di significati” e che ha sollecitato le riflessioni di filosofi, scrittori, artisti, psicologi.

E’ una parola da trattare con molta delicatezza e con grande rigore concettuale..

“L’amicizia non la si cerca. Non la si segue, non si pretende, la si esercita”. Così scrive S. Weil nel suo libro “L’ombra e la grazia”.

L’amicizia deve essere dunque esercitata nel rispetto e nel riconoscimento dell’altro, il processo dell’amicizia è un “camminare sulla seta” così il card. Martini definisce la comunicazione ed io uso la stessa efficace immagine per l’amicizia data la complementarità tra i due termini comunicazione/amicizia; è una seta delicata, flessibile ma resistente, preziosa e lucente.

L’amicizia non implica certo la fusionalità, il perdersi nell’altro, l’esclusività nel rapporto, la normatività dei vincoli.

E’ un legame, ma un legame che si configura come spazio d’incontro, di attenzione e di cura. Un legame, appunto, forte, saldo, capace di sostenere anche le incomprensioni temporanee, un legame, non una costrizione, che permette di mantenere, di tutelare la propria autonomia, di garantire la propria identità senza lasciarsi intrappolare in una dinamica perversa di rivalsa, di pretese narcisistiche ed egocentriche.

Nietzsche scrive: “Nel proprio amico si deve onorare anche il nemico. Sei capace di avvicinarti massimamente al tuo amico senza passare dalla sua parte? Nel proprio amico bisogna avere anche il proprio miglior nemico. Con il tuo cuore devi essergli completamente vicino, proprio quando ti opponi a lui”.

Micio ed il Piccolo Principe rappresentano due modi uguali e diversi di vivere l’amicizia e vedremo come.

Elemento comune: l’amicizia è intesa come nutrimento, protezione, come condivisione, all’amico possiamo svelare i nostri sentimenti, le nostre emozioni, i nostri segreti, accettiamo anche di essere corretti, giudicati, come dice Nietzsche, ma sappiamo che l’opinione diversa è un segno importante di questo forte legame.

La discordanza delle idee, delle valutazioni, delle opinioni in una dimensione relazionale autentica, sincera, priva di ambiguità e di falsi e strumentali consensi rafforza e dà consistenza al rapporto.

In Micio però si avverte un legame più libero alla base del’amicizia, più spontaneo ma non meno profondo; Micio incontra Milla e decidono di diventare amici perché hanno subito percepito la sintonia emotiva, la comunanza dei loro desideri.

Ci sono i grilli amici (pag. 35), Alba e Zadir, due bambini, e l’amicizia inizia con lo scambio di coccole e crocchette (pag. 48); Micio è amico della natura, dell’albero dai frutti rossi (pag. 15), del fiore parlante (pag. 8), della farfalla di fuoco (pag. 11), delle rose (pagg. 57 e 64), addirittura si confronta con il percorso non facile di creare, costruire e mantenere il rapporto di amicizia (pag. 41).

Nel romanzo “Il Piccolo Principe” il legame appare più vincolante, a mio parere s’intende, infatti viene utilizzato il verbo addomesticare che, nell’intento dell’autore, significa “creare dei legami”, “preparare il cuore”; concordo con queste due espressioni che dovrebbero però essere completate dal verbo esercitare come scrive S. Weil. I legami di amicizia vanno sostenuti, alimentati, custoditi dalla tenerezza, dalla comprensione, dalla disponibilità.

Addomesticare è una parola che richiama, che suggerisce, delinea una dipendenza dell’uno rispetto all’altro quindi dominanza, potere, opportunismo, ma anche soffocamento reciproco. Questo è il mio parere naturalmente, forse l’autore intendeva affermare la necessità di esercitare, potenziare, consolidare l’amicizia.

Vorrei a questo punto proporvi una frase che armonizza nuovamente i due testi, la volpe dice: “Gli uomini non hanno più tempo di conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici”.

Anche questa sarebbe una frase da meditare, viviamo nella cultura della fretta, cultura del tutto e subito, del consumismo esasperato, consumiamo a volte anche i sentimenti.

Ultimo scenario: la bellezza del dono.

Altro tema che lega i due libri e che inoltre mi piace molto perché rispecchia quello che ho sempre pensato a proposito del desiderio, del piacere di donare, del significato del dono, della filosofia che concettualizza l’arte del donare; non sono mai riuscita però a trovare le parole giuste per esprimere il mio pensiero, cercherò di farlo ora.

Anche qui è bene rilevare, sottolineare le differenze, fra i due autori, nell’approccio a questo gesto di gratuità che possiamo definire asimmetrico e mi spiegherò meglio dopo.

L’opera di Eleonora è tutta pervasa dalla istanza della gratuità, una gratuità a volte palese, esplicita, nominata; altre più nascosta, più discreta, più timida, ma, credetemi, si insinua in modo delicato ma costante in tutti i racconti. E’ la cornice, il filo conduttore, è ciò che incoraggia il lettore ad avanzare “di un millimetro più in là” (titolo di un libro di Marino Sinibaldi) per aggiungere un “granello” in più di ciò che già sa a ciò che è sul punto di scoprire. “Un millimetro in più” per superare la narrazione letterale ed appropriarsi così di un nuovo, piccolo, modesto ma importante frammento di sapere.

Ecco i racconti in cui, a mio avviso, è più evidente l’atto del donare:  “Il fiore parlante” (pag. 9), “La torre dell’aquila” (pag. 14), “L’albero dei frutti rossi” (pag. 15), “La foglia lucente” (pag. 38).

Ripeto, tutte le avventure di Micio sono connotate  dalla danza del dono e qui sarà opportuno spiegare l’aggettivo “asimmetrico” utilizzato per definire il dono; il termine indica un’azione diversa dal dare, il vero dono non vuole niente in cambio, nel dare c’è la vendita, lo scambio, il prestito. Il donatore fa un dono all’altro indipendentemente dalla risposta di questo, non c’è simmetria, non c’è l’attesa del contro-dono.

Il donare non è sottoposto alla speranza della restituzione, ma lancia una chiamata, desta una responsabilità, ispira un legame sociale, rafforza l’amicizia.

Scrive Marco Aime, antropologo: “Il valore del dono sta nell’assenza di garanzie per il donatore.  Il valore del controdono si configura nella libertà; più l’altro è libero, più il fatto che ci donerà qualcosa avrà valore per noi quando ce lo darà”.

“Il dono è senza perché” è il titolo di un articolo di Barbara Spinelli che cita il mistico Angelus Silesius: “La rosa è senza un perché, fiorisce perché fiorisce, non chiede conto di se stessa, non chiede se viene vista”.

Questa fase è la cifra dell’opera di Eleonora, ogni racconto è pervaso dall’amore per la natura, per le creature che popolano l’universo, per le cose inanimate vedi “Il sasso luminoso” pag. 33 e “La pietra muschiosa” pag. 52, dalla considerazione e dal rispetto per il diverso, fonte, talvolta, di paure immotivate: tutto è dono, tutto è riconoscimento del valore umanizzante del dono.

Il vero regalare è provare felicità nell’immaginare la felicità di colui che riceverà, significa uscire dal proprio tracciato (steccato) cioè dal proprio io per pensare all’altro come soggetto, quando scelgo il dono ho in mente l’altro, “Il regalo fa bene a chi lo riceve, ma ne fa uno, immenso, anche a chi regala… Donare è un aprire incondizionatamente l’uscio all’altro… è un aiuto a uscire dai recinti della propria interiorità… per aprire spazi all’altro e alle cose per l’altro”.

Le parole, chiare ed incisive di B. Spinelli consentono di sottolineare la stortura che il termine dono subisce nel linguaggio corrente: scambio di doni, la frase “se vuoi puoi cambiarlo”, obbligo del regalo negli anniversari, onomastici, compleanni è il calendario che decide ed impone l’atto del donare. Il dono condizionato, il dono di scambio, il dono strumentale, il dono come mezzo per ottenere favori e consenso sociale: queste sono appunto le storture, le derive del termine dono.

Ne “Il Piccolo principe” il tema, più sfumato, compare abbinato all’acqua, altro termine dalla straordinaria valenza simbolica; troviamo dunque queste parole: “Bevette con gli occhi chiusi… Quest’acqua era ben altra cosa che un alimento. Era nata dalla marcia sotto le stelle, dal canto della carrucola, dallo sforzo delle mie braccia. Faceva bene al cuore come un dono”.

Ecco la somiglianza con “Micio De Felis”: il dono fa bene al cuore.

A questo punto non è proprio possibile sorvolare ignorando il nome di un fiore, presente nei due libri: la rosa.

La volpe dice al piccolo principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi” e poi ancora “E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. Altra possibilità di donare: il proprio tempo per gli altri, quante maniere, quante occasioni per donare!

Ecco i riferimenti che io ho trovato nel libro di Eleonora:

“La rosa d’oro” pag. 29

“Il profumo delle rose” pag. 64

Il tempo che è stato donato in “Micio” è la contemplazione della bellezza, il respirare la magia del profumo vellutato della rosa, è il desiderio di “correre nel vento”.

Ed ora parliamo di Eleonora: possiede la rara capacità di trasformare le emozioni, le immagini mentali, le sensazioni e le percezioni sensoriali in parole, parole che si allontanano dalla forma esclusivamente descrittiva e narrativa per diventare melodia musicale.

Leggendo i testi di Eleonora non decifri semplicemente dei segni convenzionali, le lettere sono segni ricordiamolo non sono simboli, non vi propongo la differenza nel rispetto della vostra pazienza, dicevo i testi di Eleonora sono incontri con la meraviglia, con lo stupore che ti fanno dire: “Ho visto tante volte questa nuvola, questo albero, questa persona, ma mai in questo modo!”.

“La meraviglia è una virtù, non confondiamo però la meraviglia con l’ingenuità, l’inesperienza, l’ignoranza. La meraviglia non è la qualità degli sprovveduti, ma delle persone che hanno il cuore semplice, che non si è lasciato inquinare dall’egoismo. La meraviglia diventa un atteggiamento che di fronte alla realtà del vissuto quotidiano, permette di sognare ed il sogno porta a progettare, ossia apre al futuro” (Valeria e Tony Piccin “La meraviglia”).

La meraviglia e la fantasia abitano il mondo adulto ed il mondo dell’infanzia, ci permettono di approssimarci al mistero dell’esistere, superano l’aspetto puramente razionale per accostarci ad una realtà che continua a proporsi, ad aprirsi, ad interpellarci, che ci aiuta (grandi e piccoli)  “ad avere un pensiero più lungo e più largo: lungo nel tempo, nel futuro e largo nello spazio delle differenze e delle alterità” (“Un millimetro più in là” di Marino Sinibaldi).

Questo fa Eleonora con le sue pagine scritte, non basta, nel corso della mia chiacchierata ho utilizzato più volte i termini avventure, racconti, in realtà sono testi poetici, sono poesie in prosa. Nelle poesie, è vero, troviamo una grafica ben definita, i versi, la metrica che dà il ritmo alle parole, la poesia è immediata con immagini, suggestioni rapide, avvolgenti, luminose: bagliori improvvisi ed inaspettati.

Queste differenze fra testo narrativo e testo poetico vengono assortite e integrate dalla capacità di Eleonora di scegliere le parole ed armonizzarle con delicatezza, sensibilità ed eleganza e così noi lettori abbiamo la possibilità di godere della bellezza di una straordinaria prosa poetica o, se vi piace di più, di una poesia in prosa.

Ecco il titolo di due testi poetici che dovrebbero confermare il mio pensiero: “I petali bianchi” (pag. 49) e “Il temporale estivo” (pag. 53).

Ve ne sono altri, anzi, oserei dire, tutti! Vi propongo dunque il libro!

La poesia ti possiede, la parola poetica non ha altra spiegazione; è assoluta, come già ebbi occasione di dire, non richiede commento perché la poesia non può essere spiegata con altre parole come se fosse un trattato di scienza o di storia o di geografia. I brani che ascolterete non possono essere spiegati pena l’offuscamento dell’immaginazione, della meraviglia e dello stupore.

Il finale del libro “Micio De Felis e il giardino oltre lo steccato” chiude il cerchio di questa presentazione in modo organico e coerente alla tematica di fondo di tutta l’opera: la dialettica tra il partire ed il ritornare.

Micio e Milla si incamminano verso casa. “Sono stati giorni di magia, di amicizia e di crescita, di emozione”.

Torneranno. E’ un desiderio. E’ una promessa” (pag. 65).

Il ritorno è necessario per mettere a frutto ciò che si è sperimentato, vissuto, scoperto, per condividere con altri le proprie esperienze e per prepararsi di nuovo a partire.. questo è l’andamento della vita e questa è la lezione che ci porteremo a casa dopo aver ascoltato alcune letture tratte dai due libri per l’infanzia, sono così catalogati, “Micio De Felis” e “Il Piccolo Principe”.

Grazie per la vostra attenzione e grazie soprattutto a Eleonora e Micio che mi hanno offerto l’opportunità di rileggere “Il Piccolo Principe in un’ottica diversa”, più ricca, più ampia a conferma della mia idea di fondo: i libri di pregio non si contrappongono malgrado contenuti, trame, stili narrativi diversi perché sono uniti dalla domanda essenziale che sollecita e suggerisce tante risposte, ma mai risposte definitive, assolute, dogmatiche, piuttosto sempre aperte a nuovi contributi interpretativi e a nuovi ed originali approfondimenti.

La domanda dunque:

CHE COSA E’ LA VITA E COME IMPARARE AD AMARLA?

Grazie ancora e di cuore

Silvana Alessandria